Bertold Brecht, Erinnerung and die Marie A.

An jenem Tag im blauen Mond September
Still unter einem jungen Pflaumenbaum
Da hielt ich sie, die stille bleiche Liebe
In meinem Arm wie einen holden Traum.
Und über uns im schönen Sommerhimmel
War eine Wolke, die ich lange sah
Sie war sehr weiß und ungeheuer oben
Und als ich aufsah, war sie nimmer da.

Seit jenem Tag sind viele, viele Monde
Geschwommen still hinunter und vorbei
Die Pflaumenbäume sind wohl abgehauen
Und fragst du mich, was mit der Liebe sei?
So sag ich dir: ich kann mich nicht erinnern.
Und doch, gewiß, ich weiß schon, was du meinst
Doch ihr Gesicht, das weiß ich wirklich nimmer
Ich weiß nur mehr: ich küsste es dereinst.

Und auch den Kuss, ich hätt’ ihn längst vergessen
Wenn nicht die Wolke da gewesen wär
Die weiß ich noch und werd ich immer wissen
Sie war sehr weiß und kam von oben her.
Die Pflaumenbäume blühn vielleicht noch immer
Und jene Frau hat jetzt vielleicht das siebte Kind
Doch jene Wolke blühte nur Minuten
Und als ich aufsah, schwand sie schon im Wind.

Bertold Brecht

In quel giorno nel mese azzurro di settembre tenevo abbracciato il mio pallido e silenzioso amore sotto un giovane susino, come un dolce sogno. E sopra di noi, nel bel cielo d’estate, c’era una nuvola che vidi a lungo; era molto bianca ed altissima nel cielo, e quando guardai in alto non c’era già più.

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Ode all’Italia: perché viaggiare insegna a capire

Quando ci si cresce o ci si vive dentro forse non è così evidente, non ce ne si rende conto. Ma trascorrendo un periodo più o meno lungo all’estero, vedere le cose da fuori permette di fare confronti e di percepire cose come altrimenti non sarebbe stato possibile fare.

In Italia mancano tante cose, la legalità, la voglia di lavorare seriamente, il rispetto verso la cosa pubblica e verso le regole. Chi fa il furbo è bravo, chi si avvantaggia di qualcosa a scapito di qualcuno, magari anche senza voler intenzionalmente arrecare un danno, viene ammirato. La politica italiana è spesso superficiale, sembra essere sempre di più una questione di facciata e di chi fa la voce più grossa piuttosto che di chi effettivamente si impegna per migliorare il nostro paese. Siamo un popolo con la memoria corta, ci indigniamo sui social network per delle facezie e non siamo più capaci di indignarci quando i politici nostri rappresentanti vengono meno alle loro promesse o vengono condannati per fatti gravi. Non chiediamo spiegazioni quando le regole vengono infrante o qualcosa non funziona come dovrebbe. Tutto scorre, panta rhei, e domani è un altro giorno. Siamo il paese della burocrazia infinita e facciamo fatica a cambiare, rimanendo inesorabilmente ancorati al passato perché di mentalità tendenzialmente conservatrice.

Tuttavia, spesso ciò che non abbiamo ci distrae e non ci fa apprezzare ciò che invece abbiamo. L’Italia è bellezza, ma questa bellezza non se ne sta lì ferma, permea le persone e le forma, come per osmosi. Quando si cresce nella bellezza un po’ la si assorbe e la si porta dentro di sé.

L’Italia è piena di storia, sbuca da ogni dove che quasi non sappiamo più dove mettercela. Scavi per piantare un palo della luce e salta fuori qualcosa. Ne abbiamo così tanta che se fossimo un paese un po’ più virtuoso e la valorizzassimo a dovere potremmo (quasi) vivere di rendita. Abbiamo il mare della Puglia, le montagne del Trentino Alto Adige, i laghi, le città d’arte più belle del mondo, le colline della Toscana. Produciamo vino buono e mangiamo cibo buono. In Italia esistono ancora le stagioni, non è tutta una mezza stagione, in inverno fa freddo ed in estate fa caldo, ma la sera ci sono i temporali che portano un po’ di refrigerio; quando piove piove e quando c’è il sole c’è il sole, senza necessità di mischiare le cose. Continua a leggere »

C’era una volta il punto, e tutto il resto.

C’era una volta, quando andavamo alle elementari e la cosa più difficile da fare nella vita era cercare di capire come fare l’analisi grammaticale o decidere cosa mangiare per merenda; una volta quando ancora internet non si sapeva bene cos’era (erano cose da grandi) e per parlare con gli amici il pomeriggio bisognava telefonare a casa, oppure andare direttamente a citofonargli.

C’erano una volta i temi in classe, tanto temuti alle medie ma che per me divennero, per qualche motivo che non ho mai capito, quasi un piacere in quinta superiore. In fondo bastava saper pesare le parole, scegliere quelle più adatte per esprimere un’idea o un sentimento, scriverle sul foglio una dopo l’altra nell’ordine giusto aggiungendo qua e là qualche segno di punteggiatura a mo’ di condimento. Bastava un minimo di ordine mentale ed il resto veniva da sé, mettendo insieme piccoli mattoncini di parole così facili da creare si potevano trattare argomenti di un certo livello con una facilità disarmante.

Oggi abbiamo computer e cellulari, siamo sempre connessi a tutte le reti immaginabili, abbiamo così tanti modi diversi di comunicare che la comunicazione a volte diventa pure eccessiva e sentiamo il bisogno di spegnere tutto. Abbiamo le spunte di WhatsApp che ci dicono se il messaggio è stato inviato, se è stato recapitato e se è stato letto, possiamo sapere quando il nostro interlocutore è stato online l’ultima volta. “Ti sei collegato ma non hai letto il mio messaggio! Hai letto il mio messaggio ma non hai risposto!” Abbiamo i profili di Facebook da controllare dodicimila volte al giorno, i like da contare per vedere quanto siamo belli, per non parlare poi di quella sensazione di sentire il telefono che vibra in tasca anche quando è tutto il giorno che non ci caga nessuno. Abbiamo le emoticon tra cui scegliere perché altrimenti non si capisce se stiamo scherzando o meno.

E questo nuovo modo di comunicare stravolge anche la lingua, il nostro povero italiano, la lingua più bella del mondo. Ch diventa k, le vocali spariscono, gli apostrofi vengono dimenticati chissà dove. I sorrisi lasciano il posto ad un’alternanza compulsiva di h e di a che tutto ricorda tranne che una risata. Punti di domanda usati senza una domanda, domande scritte senza punto di domanda. I due punti: chi sei li ricorda? E il punto e virgola? Puntini di sospensione a profusione per riempire gli spazi vuoti, a volte sostituiti dalle temibili “virgolette di sospensione”,,,,, Libertà che ci prendiamo in nome di una comunicazione veloce ed immediata, che non conosce tempi di attesa e non conosce distanze. Continua a leggere »

Un posto lassù

C’è un posto lassù, sopra le nuvole. C’è un posto dove non piove mai, dove fa freddo ma non importa, dove il vento è forte ma non ti scompiglia i capelli. Dove l’azzurro del cielo intorno a te è così profondo da fare impressione. E’ un posto dove i pensieri non ti seguono, loro rimangono giù. Lassù c’è un posto dove anche nelle peggiori giornate d’inverno il sole non smette mai di splendere. Così forte che ti fanno male gli occhi. Un posto da dove tutti dovrebbero passare prima o poi. Dovresti venirci anche tu una volta, almeno per poter dire di aver provato. Io t’aspetto lì.

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Gli occhi si aprono, si guardano intorno alla ricerca di qualcosa che sembravano vedere fino a poco prima ma che non trovano più. Eppure non può essere andato lontano. Ti alzi dal letto senza averne un motivo, ti aggrappi a quei pezzi di vita che cercano invano di ricordarti che in realtà è tutto come prima. Manca un pezzo di te stesso, un pezzo che neanche sapevi di avere, forse perché stava sotto tutti gli altri. Stai scendendo lentamente, in quel pozzo che tu stesso stai scavando e che per mesi hai scavato senza nemmeno accorgertene, troppo cieco, troppo sordo. Scendi urlando, ma chi può sentire non ascolta.

E allora si aspetta, finché durerà, finché sarà necessario, perché quel pezzo torni dov’era. Si aspetta non si sa cosa, non si sa per quanto, o forse sì e semplicemente non si ha il coraggio di dirlo.

I viaggi che nutrono l’anima

I viaggi che nutrono l’anima sono quei viaggi lenti, in cui ci si prende tutto il tempo che è necessario. Sono i viaggi che lasciano il tempo di riflettere sulle cose, oppure di perdersi guardando le luci passare veloci fuori dal finestrino, magari solamente con una vaga idea di dove ci si trovi. I viaggi che nutrono l’anima sono quando i tuoi compagni di viaggio improvvisati ti raccontano un po’ di loro stessi e dopo 10 minuti ci parli come se li conoscessi da sempre. C’era la ragazza di famiglia metà italiana e metà francese, che dopo aver passato una settimana sulla riviera adriatica aspettava il treno in ritardo per tornare a Parigi, dove il giorno dopo sarebbe tornata al lavoro, in un’agenzia di viaggi. C’era la signora diretta a Taormina che attraversando lo stretto di Messina si ricordava di quando lo faceva da piccola, e si assicurò di farmi salutare la madonnina entrando nel porto. C’era il ragazzo di Napoli che a notte inoltrata tornava a Verona, dove aveva trovato lavoro, dopo aver passato il weekend insieme alla sua ragazza. C’era il vecchio signore che tanti anni prima aveva aperto un ristorante a Genova, che ti disse: “Non credere mai a quello che ti raccontano sulla Sicilia, bisogna venire a vederla con i propri occhi”. C’era il capotreno che, dopo aver detto “adesso guarda quello”, chiudendo le porte del treno fece credere ad un tipo di essere rimasto chiuso fuori, ma il treno ancora non doveva partire. Ma soprattutto c’era un insegnante di scuola elementare di cui, nonostante le parole scambiate fossero state poche, non dimenticherai mai l’umiltà dello sguardo.

I viaggi che nutrono l’anima sono quei viaggi che sono parte integrante della vacanza, se non la vacanza stessa. Sono quei viaggi in cui scopri un po’ di te stesso. Lasciamo stare l’alta velocità, lasciamo stare la fretta e i ritardi. Nei viaggi veri non esistono ritardi… perché tardi non è mai.

siracusa

Il profumo

I profumi svelano tanti aspetti nascosti delle persone, aspetti che altrimenti potrebbero non essere così ovvi. Se si entra in casa di qualcuno e c’è profumo di libri, profumo di fiori, profumo di torta al cioccolato, già sappiamo qualcosa in più su di loro.

I profumi rievocano ricordi. Anche un profumo che non sentivamo da mesi, o anni, quando lo risentiamo può riportare alla memoria sensazioni che si credevano dimenticate in modo incredibilmente vivido. Ma oltre a rievocare il passato, un profumo può imprimersi nel presente o stimolare l’immaginazione del futuro. Sulla base di un profumo si può iniziare a fantasticare su scenari inesistenti e che mai esisteranno.

Ci sono profumi che sentiremmo a decine di metri di distanza, che non confonderemmo mai con nient’altro, e poi ci sono profumi più ovvi, scontati, a cui non facciamo caso. Ci sono profumi che rimangono per giorni e giorni, e profumi che dopo poche ore già non si sentono più. Ci sono profumi profondi, potenti, di quelli che non puoi ignorare, e profumi anonimi che non si distinguono. I profumi cambiano, nel tempo. Un profumo appena spruzzato non ha mai lo stesso odore dopo qualche ora. Ciò che inizialmente sembra reale, con il tempo lascia posto alla vera sostanza. Forse ci sbagliavamo, forse no.

essènza
L’essere di una cosa; ciò che costituisce la sua sostanza.

Hugo von Hofmannsthal, Die Beiden

Sie trug den Becher in der Hand
– Ihr Kinn und Mund glich seinem Rand –,
So leicht und sicher war ihr Gang,
Kein Tropfen aus dem Becher sprang.

So leicht und fest war seine Hand:
Er ritt auf einem jungen Pferde,
Und mit nachlässiger Gebärde
Erzwang er, daß es zitternd stand.

Jedoch, wenn er aus ihrer Hand
Den leichten Becher nehmen sollte,
So war es beiden allzu schwer:
Denn beide bebten sie so sehr,
Daß keine Hand die andre fand
Und dunkler Wein am Boden rollte.

Hugo von Hofmannsthal

Lei portava il calice nelle mani, lo teneva davanti alle labbra come se stesse per bere. La sua camminata era talmente leggera e sicura che non versò nemmeno una goccia.

Lui, con mano leggera ma sicura, cavalcava un giovane cavallo, e con un gesto noncurante lo fece fermare.

Tuttavia, quando lui provò a prendere il calice dalle mani di lei, nonostante la sua leggerezza nessuno dei due ne fu capace: le mani di entrambi tremavano così tanto che nessuna delle due trovò l’altra, e il vino scuro cadde a terra.

Alle persone

Questo è uno di quegli articoli come quelli di una volta, quelli in cui si parla di tutto e di niente, in cui chi vuole intendere intenda, che da tanto tempo non scrivevo.

Questo articolo è dedicato alle persone. Alle persone che sorridono, che ti travolgono con la loro allegria e con essa ti danno un po’ più di voglia di affrontare le giornate no. A chi promuove la dolcezza gratuita e crede che siano le piccole cose a dare un senso a tutto. Alle persone che nonostante vada tutto male ci provano sempre e comunque, e se poi sbagliano impareranno, ma anche a quelle che non imparano un bel niente. Alle persone ansiose, perché è meglio così che essere sfacciati. Alle persone ostinate, perché se si smette ancora prima di cominciare non si arriverà mai da nessuna parte. Alle persone che vengono, alle persone che vanno, ma anche alle persone che decidono di restare, ché alla fine qualcosa succederà, ma soprattutto alle persone che tornano, dopo essersi rese conto che forse non era poi così male.

In effetti, questa è solo un’unica, grande dedica a chi, nel proprio piccolo, rende questo un mondo migliore da vivere.

Grazie.

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Il non-buonsenso degli inglesi

Gli inglesi sono molto apprezzati in Europa per il loro rispetto delle regole e per l’educazione. Le code ordinate che si formano alle fermate dell’autobus, la burocrazia che si fa velocemente online e nonna Betta che tiene tutto sotto controllo mentre si beve un tazza di Earl Gray, dando il buon esempio a tutta la popolazione. L’Inghilterra è un Paese che si pregia di poter ospitare, accettare e dare lavoro a tutti, il Paese delle infinite opportunità, dove ogni persona viene considerata per quello che vale davvero e non per simpatie o amicizie, evviva la mentalità aperta, evviva le pari opportunità. Ma sotto tanti punti di vista della vita quotidiana questo è un vanto di facciata, perché il tessuto sociale di base è formato da persone semplici, con una cultura spesso limitata che li porta a non provare nemmeno a capire le altre culture, figuriamoci ad apprezzarle. E, soprattutto nelle persone più anziane, c’è un che di “noi non abbiamo bisogno degli altri, siamo migliori, abbiamo le colonie, l’aeronautica, la marina, abbiamo il tè, la birra e va bene così”. Criticano i francesi perché sono francesi. Non perdono occasione per sfottere gli americani perché usano unità di misura imperiali ma non si accorgono che poi vanno al bar ad ordinare una pinta di birra guidando una macchina che indica la velocità in miglia orarie e viaggiando su strade dove i cartelli indicano le distanze in yard. E per fortuna che hanno iniziato ad usare il sistema decimale per la moneta, sennò mi ritroverei a dover pagare con scellini (1/20 di sterlina) e penny (1/12 di scellino)! “Sono 3 sterline, 17 scellini e 10 penny!” E non vorrei essere io quello che deve dare il resto… La stragrandissima maggioranza degli inglesi, soprattutto i più giovani (credo), usano le unità di misura imperiali, ma senza sapere quanti yard ci siano in un miglio e quanti pollici ci siano in un piede, e come biasimarli; non parlano altre lingue, non hanno idea di cosa sia la grammatica e di conseguenza sono delle capre quando cercano di imparare altre lingue. Parlo per esperienza personale: di grammatica inglese ci capisce di più un italiano medio che un inglese di madrelingua. Continua a leggere »

I ricordi degli altri

Era entrato nelle vite degli altri, pur non volendolo. Forse sono stati gli altri a mettere le loro vite intorno a lui, non lui ad entrare, lui è stato fermo, come sempre.

Comunque stare lì sembrava sbagliato, era come se dovesse chiedere il permesso, che dovesse chiedere scusa per aver avuto il coraggio di aprire porte chiuse ed aver risollevato polvere che si era posata molto tempo prima. Si sentiva estraneo a quel mondo di ricordi dimenticati, circondato da persone che non conosceva e da altre che non riconosceva. Bisognava uscirne in punta di piedi, richiudendo la porta dietro di sé senza fare rumore.

Ah, che magnifico lavoro quello del proiezionista! 🙂

Il cinema dice addio alla pellicola 35 mm

Proprio quest’anno, il 2013, siamo a cavallo del grande cambiamento. Per la prima volta dopo più di 100 anni la pellicola da 35mm lascia le sale cinematografiche di tutto il mondo, per far spazio al digitale. Il numero di proiettori digitali installati ha superato il numero di proiettori a pellicola, e questo trend continuerà negli anni a venire. Alcuni film già vengono rilasciati esclusivamente in digitale, e diventerà sempre più difficile reperire copie stampate su pellicola, fino a che nel giro di qualche anno tutto ciò che rimarrà saranno i film storici e d’archivio.

Stiamo andando incontro ad un cinema più sterile, un cinema senza proiezionisti! Così se c’è un guasto o qualcosa da regolare, magari anche di semplice, nessuno saprà dove mettere le mani e i clienti saranno rimandati a casa con un biglietto omaggio per la volta successiva.

In questo momento mi trovo accanto ad un proiettore Cinemeccanica Victoria 8, impegnato a proiettare (il proiettore, non me) Lo Hobbit, una copia lunga più di 4,6 km. Sta scomparendo uno dei lavori più belli e affascinanti in assoluto, ed io sono stato fortunato abbastanza da poterlo imparare e raccontare… giusto in tempo.

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Vivere in Inghilterra: pro e contro

Con i tempi che corrono tanti italiani pensano di emigrare all’estero, un po’ per evitare la pressione fiscale italiana, un po’ perché vogliono vivere in un paese dove il lavoro (e la società in generale) sia basato sulla meritocrazia e non sulle amicizie. Insomma, di motivi ce ne sono. Altri invece preferiscono rimanere in Italia, o addirittura ci ritornano, perché in fondo in fondo anche lì abbiamo le nostre belle abitudini e (spesso) non si sta poi così tanto male.

Perché vivere in Inghilterra:

  • Meritocrazia: non solo nel mondo del lavoro, ma nella mentalità della gente in generale.
  • Apertura alle altre culture: in Inghilterra non esiste il razzismo e la discriminazione degli immigrati; gli immigrati ci sono, studiano, lavorano onestamente, pagano le tasse ed il biglietto sul treno e vengono trattati esattamente con tutti gli altri
  • Il lavoro si trova, con contratto a tempo indeterminato dopo un periodo di prova (almeno stando a testimonianze di amici); niente tirocini gratuiti, niente licenziamento perché il datore di lavoro preferisce assumere l’indiano sottopagato.
  • Le poste funzionano ed il corriere non si sogna di segnare “destinatario assente” senza neanche passare a suonare il campanello.
  • Burocrazia: quasi tutto si fa via internet e via posta (esempio: per l’esenzione dalla council tax – equivalente dell’IMU – in quando studenti è bastato mandare un’e-mail al comune con allegata una lettera dell’università).
  • I semafori diventano arancioni prima di diventare verdi (ok lo ammetto, questo non è un motivo valido).
  • Tassazione del reddito effettuata dallo stato: in base a quanto guadagni loro calcolano e ti dicono quanto devi pagare, niente auto-dichiarazioni (e se si sbagliano… rimborsano).
  • SIM e telefonia fissa: tutto molto più facile e veloce (esempio: per comprare una SIM basta andare in un negozio con 5£, non serve carta d’identità o codice fiscale, costo dell’operazione: 0£).
  • Le banche. Io ho tre (TRE) conti correnti con un bancomat (che qua si chiama carta di debito) da più di tre anni, e non ho mai (MAI) pagato un centesimo ad una banca. ZERO. Ho solo preso gli interessi sui soldi che avevo in banca. Sì, avete capito bene: ZERO.
  • I treni sono puntuali e (spesso) puliti, e se succede qualcosa a qualsiasi mezzo non ti fanno aspettare cinque ora prima di risolvere la situazione… purtroppo i trasporti costano un sacco.
  • I supermercati principali sono aperti anche fino a mezzanotte, alcuni addirittura 24h/24. Continua a leggere »

Italiani e non

Premessa doverosa: questo articolo è stato scritto per Blog Action Day, anche se con un po’ di ritardo, come ormai da tradizione per questo blog. Il tema dell’edizione 2012 è “The Power of We – a celebration of people working together to make a positive difference in the world”. Come vedete è una tematica molto generica, che lascia spazio a varie interpretazioni, dalle realtà più locali – per non dire quasi personali – a quelle più nobili e di carattere umanitario. Io ho scelto una via di mezzo, un argomento che riguarda la collettività ma che al tempo stesso mi sta personalmente a cuore: ho scelto di scrivere dell’Italia e degli italiani.

Ed è proprio in questo periodo in cui bisogna parlarne, perché con tutto il marcio che sta venendo fuori (e basta leggere un giornale qualsiasi di un giorno qualsiasi per rendersene conto) si va a delineare sempre meglio una distinzione che separa gli italiani da chi invece italiano non lo è. Tutti gli scandali venuti a galla recentemente, e che non accennano a smettere, devono essere occasione per fare una pulizia che era da un bel po’ che andava fatta… diciamo dal 1994. Continua a leggere »

Attimi

Persone che arrivano una dopo l’altra, da sole o in gruppo, ognuna vestita in modo diverso. Chi porta i pantaloni lunghi e la maglia e chi invece viene da un posto caldo. Alcuni sono felici di arrivare, altri sono tristi di essere partiti, lo si legge sulle loro facce.

Due persone si accorgono che una bottiglia di vino gli si è aperta in valigia e cercano di rimediare. Una ragazza si guarda intorno in attesa di qualcuno che non c’è. Un ragazzo sta aspettando con una scatola di cioccolatini in mano. Una mamma sta aspettando il papà con la figlia in braccio. Ah, le attese! Un signore si aggiusta la cravatta in bagno, forse deve ricevere persone importanti.

Ognuna di queste persone ha la propria storia, i propri pensieri, abitudini, vizi, segreti. Persone umili e persone presuntuose, persone altruiste e persone egoiste, persone gentili e persone maleducate, tutte nello stesso posto. A volte però capita che due storie si incrocino per un attimo, forse per caso o forse non così tanto per caso.

Un attimo troppo corto per avere un seguito ma troppo lungo per non essere importante.

Grazie per tutti questi attimi.