In questo periodo uno degli argomenti più affrontati in televisione e sui giornali in Inghilterra è la potenziale uscita del Regno Unito dall’Unione Europea (anche chiamata Brexit). Entro il 2017 verrà organizzato un referendum per chiedere alla popolazione di esprimere la propria preferenza al riguardo, come promesso dall’attuale primo ministro David Cameron nel suo programma elettorale per le elezioni politiche del 2015.

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Perché uscire dall’Unione Europea?

Il motivo principale che spinge gli inglesi a voler uscire dall’UE è il problema dell’immigrazione fuori controllo, sia da parte dei membri dell’Unione Europea che non (pratica comune sembrerebbe essere quella di ottenere un passaporto europeo in un altro Stato per poi usufruire della libertà di movimento all’interno dell’Unione). Questo problema si è ovviamente inasprito negli ultimi anni facendo aumentare il supporto per i partiti pro-Brexit. Connesso al problema dell’immigrazione c’è quello della disoccupazione e delle spese pubbliche per supportare economicamente gli immigrati (mediante sussidi di disoccupazione, ad esempio). Anche il marcato nazionalismo dell’inglese medio, desideroso di riottenere la completa sovranità del parlamento inglese, insieme alla visione distorta di un’Europa che prende soldi e non ne da indietro, contribuiscono.

Perché rimanere nell’Unione Europea?

La paura svolge un ruolo fondamentale per chi difende la scelta di rimanere nell’Unione Europea: non sappiamo cosa succederebbe se ce ne andassimo, come reagirebbero i mercati, cosa succederebbe al valore della sterlina e ai posti di lavoro e se l’economia sarebbe danneggiata a lungo termine o se ne trarrebbe giovamento. In effetti, al momento non c’è nessun piano concreto su come gestire dal punto di vista pratico una potenziale uscita dall’Unione.

C’è inoltre un’altra grande minaccia che si profilerebbe nel caso in cui gli inglesi decidessero di lasciare: la Scozia, storicamente europeista, potrebbe volere un altro referendum di indipendenza (a breve distanza da quello del 2014) per votare la scissione dal Regno Unito e la permanenza in Europa. Un’eventuale Brexit porterebbe quindi, oltre ad una notevole incertezza economica, ad un indebolimento dell’Europa e ad una potenziale scissione del Regno Unito stesso.

Sul piano internazionale, uno dei rischi pratici è che l’Inghilterra perda la possibilità di avere una voce rilevante a livello mondiale, in particolar modo come alleato della potente America. Al momento l’alleanza storica con il Regno Unito è vista dagli Stati Uniti come anello di collegamento tra i due continenti ed un tramite attraverso il quale fare sentire la propria voce in Europa, ma in caso di Brexit gli inglesi perderebbero questa funziona strategica e l’alleanza con gli americani verrebbe indubbiamente indebolita.

L’ultima considerazione riguarda il piano economico. Al momento gli inglesi godono di una posizione privilegiata, avendo accesso al mercato unico europeo per acquistare o vendere beni, mantenendo comunque una propria moneta indipendente e senza aver aderito a Schengen. L’uscita dall’Unione Europea precluderebbe l’accesso al mercato unico, facendo perdere a Londra potere contrattuale su scala mondiale. Inoltre, il centro economico e finanziario europeo dovrebbe essere spostato da Londra, dove si trova attualmente, ad un’altra città europea, probabilmente Francoforte.

Infine, alcuni sostengono che uscire dall’Unione Europea non risolverebbe i problemi economici causati dall’immigrazione. Le statistiche mostrano che gli immigrati europei pagano più contributi di quanto richiedano in sussidi, contribuendo quindi in modo positivo alle finanze statali, che invece hanno un saldo netto negativo per quando riguarda gli inglesi stessi e gli immigrati extraeuropei.

Cosa sta facendo il governo in preparazione al referendum?

La posizione del primo ministro David Cameron è chiara: lui difende la permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, a condizione però di ottenere alcune riforme che diano garanzie ed aumentino l’indipendenza degli inglesi da Bruxelles. Considerato ciò, è sua intenzione organizzare il referendum che ha promesso alla popolazione prima dell’estate 2016, per evitare che una nuova ondata di immigrazione che probabilmente avrà luogo in estate possa influenzare l’opinione pubblica ed aumentare il supporto alla Brexit. Al momento la data più gettonata per lo svolgimento del referendum è il 23 giugno 2016, il tempo a disposizione non è quindi molto e questo spiega le frenetiche contrattazioni delle ultime settimane tra il primo ministro inglese ed i capi di stato europei. Il 2 febbraio Donald Tusk, il presidente del Consiglio Europeo, ha pubblicato una bozza di modifica degli accordi con il Regno Unito, in modo che i membri dell’UE possano analizzarla e discuterla al summit che si terrà il 18 ed il 19 febbraio, durante il quale sarà necessario il benestare di tutti gli Stati membri affinché le modifiche vengano approvate. In questo caso Cameron inizierebbe la preparazione al referendum; in caso contrario, se la bozza non venisse approvata, sarebbero necessarie ulteriori contrattazioni e il referendum non potrebbe quindi aver luogo prima dell’estate 2016.

Nonostante la posizione ufficiale del governo in carica sia quella di rimanere all’interno dell’UE, il primo ministro ha autorizzato i propri ministri a schierarsi individualmente dalla parte che preferiscono secondo la loro coscienza, a patto che quando rivestono la carica ministeriale difendano comunque la linea di pensiero ufficiale del governo.

Generalmente parlando, al momento i sondaggi danno il fronte del “rimanere” in leggero vantaggio rispetto al “lasciare”, ma la differenza è piccola e coloro che attualmente sono indecisi tra una posizione e l’altra determineranno l’esito del referendum.

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