Mine Vaganti è un film che ho visto appena uscito nei cinema, in marzo 2010. Da allora l’ho guardato, riguardato e guardato ancora, decine di volte. Eppure sento che c’è ancora qualcosa che mi sfugge di questo film, qualche messaggio che ancora non sono riuscito a cogliere. Forse mi sbaglio ma… è una specie di presentimento.

Mine Vaganti è un film che, nonostante sia focalizzato sulla tematica dell’accettazione dell’omosessualità nella società italiana di oggi, vuole in realtà toccare una tematica molto più ampia e relativa al tradizionalismo di alcune famiglie, soprattutto quelle meridionali, che fanno fatica ad accettare quando le cose non vanno come è previsto e pianificato che vadano. L’omosessualità non viene trattata in maniera pesante, al contrario viene presentata in maniera molto naturale e spontanea.

Ma Mine Vaganti NON è un film sull’omosessualità: è un film sulle tradizioni, sulla trasgressione, un’esaltazione dell’individualità e della necessità di recuperarne i valori e i principi. Un film sui nostri desideri e bisogni più intimi, sulla necessità di soddisfarli a prescindere da ciò che le altre persone potrebbero pensare di noi. Sulla necessità di imparare a seguire il nostro cuore e i nostri sentimenti, a non ascoltare gli altri. Sull’importanza di capire che è meglio sbagliare perché si ha fatto ciò che si voleva fare piuttosto che fare la cosa giusta perché ce l’ha detto qualcun altro.

A ciò si accosta il secondo, grande tema affrontato da questo film, probabilmente il tema principale: quello dell’amore impossibile. L’amore impossibile tra una giovane imprenditrice salentina e un ragazzo gay, tra due ragazzi omosessuali che non vengono accettati nel contesto familiare, tra la nonna e suo cognato.

La scena finale è la più emblematica, la più pregna di significato e probabilmente anche quella che ho capito di meno. Durante un corteo in occasione del funerale della nonna (che a parer mio è la vera protagonista di questo film), compare lei da giovane accompagnata da Nicola, l’uomo che lei ha amato per tutta la vita, il suo amore impossibile; per un breve periodo di tempo si spostano insieme al corteo, ma poi girano a destra e lì, mentre ancora sullo sfondo si vede il corteo passare, in una sorta di “passaggio di testimone” Nicola lascia che la nonna (giovane) entri in un giardino sopraelevato, una specie di mondo parallelo a quello reale, dove ad attenderla c’è suo marito. In questo giardino si fondono passato e presente, si ritrovano tutti i personaggi del film, si scompongono e ricompongono di continuo coppie casuali (?), il tutto immerso in un’ambientazione chiaramente collocata nel passato. Si tratta secondo me del matrimonio della nonna, e questa scena finale va a fare da complemento alla scena di apertura, dove la nonna giovane, prima di sposare l’uomo che non amava, si reca da Nicola con l’intenzione di togliersi la vita; lui tuttavia glielo impedisce ed anzi le prende la pistola per togliersi la vita al posto suo, per poi accompagnarla figurativamente, solo nei suoi pensieri, al matrimonio. Una scena ricca di un simbolismo difficile da decifrare. Ci vengono forse in aiuto le parole del testamento della nonna, che una voce fuori campo legge durante le scene finali:

“Nicola mi ha insegnato la cosa più importante di tutte… a sorridere quando stai male, quando dentro vorresti morire. Non siate tristi per me quando non sentite la mia voce in casa, la vita non è mai nelle nostre stanze… moriamo, e poi torniamo… come tutto.”

Questo giardino forse rappresenta la ciclicità della storia, il fatto che tutto inizi e finisca per poi ricominciare. Il fatto che la vita altro non sia che un irrinunciabile, tremendamente frenetico giro di giostra. La giostra continua a girare, noi saliamo e scendiamo. E lo dobbiamo fare seguendo ciò che sentiamo dentro e non ciò che gli altri si aspettano da noi. Oppure, più semplicemente, viene rappresentato il sogno della nonna: un mondo in cui tutti gli affetti e le relazioni siano possibili, senza distinzioni e senza limiti. Tutte le coppie che si formano ballando al suono di una bellissima canzone turca (Kutlama, di Sezen Aksu) sono le coppie che avrebbero voluto ma non potevano.

Ottime le musiche, ottimi gli spunti di riflessione. Un film che merita di essere visto dalle persone disposte a fare determinate riflessioni e a porsi certe domande.

“Sbaglia per conto tuo, sempre.”

Nota di servizio: se vi è piaciuto questo film potreste essere interessati ad un altro articolo che ho scritto, nel quale illustro i luoghi del Salento in cui questo film è stato girato.

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